Regia di Paolo Sorrentino
ConToni Servillo, Sabrina Ferilli, Carlo Verdone, Roberto Herlitzka, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Galatea Ranzi, Pamela Villoresi, Serena Grandi, Isabella Ferrari, Massimo Popolizio, Giorgio Pasotti, Franco Graziosi, Massimo De Francovich, Ivan Franek, Anna Della Rosa
Grottesco Italia 2013
Paolo Sorrentino, che romano non è, che a Roma vive ma non vi gira i suoi film (neppure “Il divo”, solo poche scene), che
Poi cala a condor sulle terrazze, quelle del blabla immortalato da Scola (memorabile un discorso/verità esposto come una puntura in faccia alla radical chic Galatea Ranzi che fa da ripresa non-comica della celebre tirata di Gassman), quelle rigurgitanti le orride feste di cui il protagonista Jeb Gambardella (Toni Servillo, è chiaro), riverito autore di un solo libro (
Il volgo è divenuto volgare e ha definitivamente cambiato in peggio la connotazione all\’aggettivo. Inevitabile quanto \’inutile\’ citare “La dolce vita”: via Veneto è raffigurata come uno sfondo vuoto; lo sfacelo di Serena Grandi (coraggiosa) è forse la rappresentazione di Anita Ekberg come è oggi; a suicidarsi è un giovane proustiano vacuo; alla struggente Ferilli che balla da attempata soubrette sempreverde per pagarsi le medicine, Jeb promette che la porterà a vedere un mostro marino, evocazione del pescione finale del film di Fellini. Che è ovunque, in nessun posto e soprattutto nel rapido magico incontro con Fanny Ardant e in quello con una giraffa: figura imponente quanto volatilizzabile nella finzione circense. Ci sono le rasoiate di luce di Luca Bigazzi: squarci struggenti di una città magggica a cui Sorrentino mescola l\’evocazione del ricordo e le frasi stentoree per dettare le quali venderebbe la sua arte e ogni altra cosa (
Strisce di aerei e di cocaina, una direttrice di giornale nana, una bambina costretta a imbrattare tele come una baby-pittrice in trance isterico, Isabellissima Ferrari (
E il papabile porporato Roberto Herlitzka che dà ricette di cucina ma non di spirito, la scaltra differenza tra \’abile\’ e \’bravo\’ (la applichiamo anche alla regia?), il disincantato cinismo di un uomo che sa tutto e – cosa ben più importante – sa che sapere tutto non serve a nulla, desidera ricordare e fa fatica, vorrebbe piangere e ci riesce solo al riparo di una bara dopo aver enunciato che lo vieta il galateo dei funerali (si ruba la scena del dolore alla vedova), vive sepolto nell\’imbarazzo di stare al mondo, conscio che la grande bellezza è
Avrebbe una ricetta di salvezza:
“La grande bellezza” non è un titolo: è un rimpianto, forse di qualcosa davvero solo intuito, intravisto e subito perduto. Roma o morte, non fa più differenza.
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