Noomi Rapace ha dunque deciso: via cicatrici, tatuaggi e capelli sforbiciati corti in favore di un look elegante da signora che frequenta trame e salotti buoni, ma il ruolo resta quello della famigerata trilogia aringa/thriller (stesso regista danese di “Uomini che odiamo le donne”): la dea della vendetta. Ovvero si cristallizza in una parte che la rende espressivamente sterile a dispetto del grande agitarsi: una tigre scontata, tra segreti ed esplosioni, in un film in cui il tocco europeo è fitto di stereotipi al limite del comico/didascalico (la Huppert che liba calici di vino su sfondo di Torre Eiffel). Qui la sua rabbia incrocia (e ricatta) quella di Colin Farrell, attore eclettico che invece sta volentieri – ma non per forza – al centro del mirino. Lei regna sul film, lui lo salva.
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