Tom Stoppard, colui che shakerò il Bardo in “Shakespeare in Love”, torna alla sceneggiatura dopo 12 anni al servizio del brillante Joe Wright, regista ultra-british che viene dagli inglesissimi Jane Austen (“Orgoglio e pregiudizio”) e Ian McEwan (“Espiazione”). Film splendido ed ammiccante il primo, luccicante patacca il secondo. La tredicesima riduzione cinematografica del capolavoro di Tolstoj porta fortuna e meraviglia. Non è cinema del tempo della crisi: 30 milioni di sterline, un centinaio di set, la giovane musa del regista (Keira Knightley) che prima del celebre suicidio sotto il treno volteggia in scene degne del Gattopardo. Suggestiva moda anacronistica che mescola velluti del 1870 all\’alta moda anni 50 (con diamanti gentilmente offerti da Chanel). Musiche del \’nostro\’ premio Oscar Dario Marianeli, Jude Law nel ruolo del marito tradito e Aaron Taylor-Johnson (\’belva\’ reduce da Oliver Stone) conte Vronsky col ciuffo e il baffo biondi e tentatori. Teatralissima e sontuosa messa in scena conscia di essere tale e volteggiate su se stessa. Come nel mitico “Mouline Rouge!” di Luhrmann (regista pre-tarantinato che borchiò Romeo e Giulietta) tutto è in teatro, sa di teatro, sfocia in teatro e (si) prodiga in invenzioni che tramutano l\’eterno passato in eterno presente fregando il futuro. Echi di Strehler, ma soprattutto scorribanda fellliniana. E ancora: rulli di Genius Quentin a San Pietroburgo.
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