Evitare un disastro aereo e rischiare di essere condannati per omicidio colposo plurimo. E\’ quello che accade al comandante Denzel Washington, per la prima volta splendidamente quasi scorretto con occhio pesto e bocca impastata), a cui riesce meglio passare indenne tra le nubi del cielo che in quelle della vita: quando il suo aereo perde i pezzi tra le nuvole della Georgia lui riesce a portarlo a terra mantenendo il sangue freddo. Ma in quello stesso sangue vengono trovate tracce di vodka e cocaina, dal momento che il comandante la sera precedente al volo, come tutte quelle prima, ha alzato troppo il gomito. Poco importa dunque che sia riuscito a salvare 96 delle 102 persone a bordo: neanche il tempo di ritagliarsi il ruolo dell\’eroe che subito deve pensare a difendersi dalle accuse con l\’aiuto dell\’algido avvocato Don Cheadle. Ma la prospettiva dell\’ergastolo non è l\’unico problema di un uomo che annega tutti i suoi dubbi nell\’alcol credendo di farlo per scelta e non per dipendenza e arrivare sobrio all\’interrogatorio finale che potrà scagionarlo sembra impresa più ardua che pilotare un boeing. Zemeckis preferisce tenere al minimo i motori del legal thriller, che rimane comunque intrigante, per planare sull\’uomo e sul suo rapporto con la realtà e con il destino. Lo fa con il solito film rigoroso fatto di parole e inquadrature calibrate, che emoziona quando deve emozionare (tanto di cappello per la sequenza dell\’incidente aereo), ti sorprende quando non te lo aspetti e sa dosare ironia a perfette impennate di tono, senza perdere quota quando attraversa le insidiose turbolenze della riflessione esistenziale sulla quale plana con un atterraggio da applausi.
(Uedro)
Zemeckis sa il fatto suo, conosce i tempi, ha fiducia negli attori. Il suo film vale quel poco più di nulla che di solito si incontra in trame del genere. Per questo non applaudo all\’atterraggio: mi limito solo a sapere che di solito cadono peggio. Molto peggio, dai.
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