Dimentichiamo per un attimo Genius Quentin, l\’uomo che ha capito che l\’unico modo per impedire la palese morte del cinema era dichiararlo morto senza farla lunga sulla sepoltura critica e imporgli una resurrezione fatta di rifrullamenti, citazioni, exploit sopra le righe di un pentagramma liso. Non respirazione bocca a bocca, non sangue dalla rapa: Vecchio Cinema in Paradiso, Nuovo Cinema all\’inferno degli zombie d\’arte esaurita: ritmato dall\’accumulo (che in lui è sete) e dal forsennato galoppo che sguinzaglia ancora il secolare cine-cavallo pelle e ossa eppure accanito. Dimentichiamo il botto (“Le iene”), il fiore all\’occhiello (“Pulp Fiction”), il possibile capolavoro (“Una vita al massimo”), il capolavoro (“Jackie Brown”). E veniamo al cinema della vendetta che ha “Kill Bill” come punta di diamante, a ruota un paio di sguaiati (ma divertentissimi) splatter e culmina in “Bastardi senza gloria” e “Django Unchained” (La D è muta come ben sa Franco Nero, Django originale, ammiccante al bancone). Sono film speculari, anzi identici. Tarantino si siede in coppa al mappamondo e si sceglie il ruolo dell\’illuminato liberal yankee quando tali sono gli americani nemici di Hitler e quello dell\’illuminato liberal europeo quando tali sono i tedeschi inorriditi dalla schiavitù. Come impedisce che tutto ciò faccia di lui un maestrino delle parti giuste? Con l\’ironia della dialettica del dentista/pistolero Christoph Waltz (ri-Oscar subito!) e andando ripescare un Corbucci doc del 1966 a cui toglie dalla fondina la musica iniziale di Bacalov e gli zoom/primi piani (comunque alla Leone) per deragliare subito dalla storia in favore di una Storia che ha Sigfrido e il drago come simbolo e la grinta negra (si diceva così, caro Spike Lee e lo sai bene) di Jamie Foxx come sfogo. Gran carneficina tra assolati tempi morti, combattimenti da Mandingo, frustate alla schiena di una trama sforbiciabile e i capricci francesi del ricco razzista DiCaprio la cui ugola chioccia (in originale) lo priverà sempre dell\’ambita statuetta. Ma – fateci caso – i colpi dell\’alemanno sono letali forellini in pancia al nemico, mentre quelli dello schiavo liberato (e rivestito a mo\’ di valletto guitto) aprono squarci di titanica/villica ribellione. La scena dei cappucci del Ku Klux Klan sembra tratta dalla comicità di Mel Brooks, Elisa sembra cantare con voce d\’epoca, Samuel L.Jackson è un memorabile kapò che è delitto grave non aver premiato. E\’ il Genius Quentin che ci fa sbavare? Certo che no. E\’ un buon film doc che forse lo incanala per sempre su un vitale binario a sua volta morto, o forse è una parentesi rabbiosa tra le tante parole dei suoi formidabili dialoghi. C\’è il marchio di fabbrica, non più la fabbrica. Ma strappa ampiamente la sufficienza: occhi sgranati a dispetto della cavalcata extralarge. E quando arriva lui, nella consueta piccola parte, sfata l\’assioma che la cosa più bella al cinema sia veder morire un nazista. Macché, godevi Tarantino come esplode. Pulp-post-spaghetti western, e se sei vivo spara ancora.
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