La pretesa estetica (senza estasi) di una \’bella\’ opera immersa tra le opere d\’arte si trasforma in un\’opera patacca, e complimenti a Peppuccio Tornatore se il cine-anno comincia (molto) male. Movimenti di macchina e tele d\’autore tra traslochi, truffe e toni noir improbabili. Inevitabile, come battitore d\’asta colto ma truffaldino (il complice è Donald Sutherland con chioma da Gandalf), la scelta di un attoregufotriste quale Geoffrey Rush, incapace di spalancarsi alla rabbia senza stonare e dissennato premio Oscar nel film più tarocco della fine del secolo scorso: l\’australiano “Shine” che simulava il ritorno alla musica del pianista David Helfgott dopo un tunnel di nevrosi, guarigione tutta cinematografica e impietosamente inchiodata al suo ruolo da finto happy end dall\’imbarazzante esibizione dello stesso Hefgott alla notte delle statuette. Il cinema è sempre un falsario. Ma perché crea finta verità negli occhi di chi guarda, non perché si barcamena sullo schermo tra l\’incredibile e l\’improbabile. Sorvolerò sugli snodi di una trama che andrebbe crocifissa e spoilerata per giusto castigo, basti sapere che il protagonista igienista/antieffettivo sempre-in-guanti () cade innamorato della bella agorafobica (sigh) Sylvia Hoeks che fa i capricci su sentimenti e arredi da dietro una porta chiusa. Intanto – per i duri di marchingegno – un automa prende forma nella bottega dell\’aggiustatutto Jim Sturgess e ogni metafora viene ripetuta tre volte affinché paralleli e meridiane facciano luce anche all\’occhio del più tonto. Solo, nella sua alcova di ritratti di signora che lo fissano dalle pareti, il protagonista è al centro di un cosmo che – è la speranza – alluda alla freddezza dell\’estetica senza linfa vitale, ma più probabilmente si tratta solo di montaggio compiaciuto che suona falso come un Canaletto del 2000. Idem per il finale d\’amore \’ostinato\’ già visto decine di volte e sempre meglio (uno per tutti: ne “Il marito della parrucchiera”). Il film di Tornatore – tutto cornice, niente sostanza; piccolo museo privato in cui tutto è a posto e nulla è al \’suo\’ posto – è chic, ma mai nobile. Gli manca l\’onesta del blu nel pennello e nel dna. direbbe Pasquale Panella. Ma è gisuto aggiungere anche un\’osservazione di Alverto Pezzotta, critico col quela di rado mi trovo in sintonia ma che questa volta ptrebbe gettare una nuova ed inquietante luce sul film: . Ah, ciò fa meditare…
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