Causa ictus scopereccio, il politico corrotto/corruttore Michele Placido (in ottima forma, alla Gassman senior) inizia a dire la verità, tutta la verità, nient\’altro che la verità sulle mille sporcizie italiane di cui è stato maestro e artefice, a cominciare dalla propria famiglia: malasanità, nepotismo, mazzette sui terremoti, eccetera, eccetera, eccetera. Non essendo Jim Carrey – memorabile in un ruolo simile – le gag rimangono a livello Bagaglino e le interpretazione (Gassman jr. Bova. Ambra, persino il buon Papaleo) non si elevano dal livello del cinema che vuol far facile cassetta. Poi la svolta pentitista cerca toni lirici (a L\’Aquila), riflessivi (passeggiate su sfondo di sommossa), utopistici (il finalone cambia-Costituzione). E\’ un film che scorre e facie da condividere. Il bersaglio sporco è talmente grosso che è impossibile mancarlo. Dunque ci si casca, proprio come il protagonista rimprovera ai suoi elettori. Perché a nessuno in “Viva l\’Italia” passa neppure per la mente di potersi redimere senza farsi – e dunque fare – la morale. Il film di Massimiliano Bruno non si accorge di dipanarsi con la faciloneria da cui vorrebbe svoltare. Né di ricorrere con forza alla retorica che pretenderebbe di combattere. Dico questo perché un discreto filmastro rimanga quello che è, e a nessuno venga in mente di assecondarlo quando si erge a modello di \’commedia critica all\’italiana\’. Si parli di più dei suoi bolliti stereotipi e sia vietato fare il nome di Risi e Monicelli.
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