Un quattordicenne in fuga da mamma Sonia Bergamasco, psicanalista e settimana bianca si rifugia in cantina (con bagno!) tra provviste e cianfrusaglie, trapassato remoto e bronci del futuro: un busto del duce e sfoghi d\’acne sotto riccioli ribelli. Il ragazzo ha slanci incestuosi, feticismi onirici, passione per gli insetti che chi sa di psicologia giudica allarmante, bisogno di chiudere e sbarrare la felpa (anche le cuffiette per la musica gli fanno da cantina). Fa inaspettata irruzione la sorellastra che quasi non conosce: 10 anni e molto rancore in più, capelli biondi, pelliccia nera, talento per la fotografia, dedizione alla droga. Tea Falco e Jacopo Olmo Antinori (un nome che sembra uscito da “Novecento”!) si guardano racchiusi in fragilità indecise se esplodere o chiedersi aiuto a colpi di occhioni (lui) e parolacce (lei): primi piani e dialoghi recitati acerbi più per compiacimento che per volontà. Bernardo Bertolucci li dirige da una sedia a rotelle. Si sa, si vede. Tiene basso lo sguardo dell\’introspezione, insiste nell\’inseguire altrui giovinezze che non può più padroneggiare, usa il romanzo di Niccolò Ammaniti come un primo tango da ballare quasi da soli riuscendo a far sembrare bella l\’orrida versione italiana (by Mogol) di “Space Oddity”. Cambia il finale a un testo non facile. Poi alza le pupille di un film facile alla luce della possibilità.
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