Il sogno televisivo e la realtà antropologica del Grande Fratello si fondono in un mondo privo delle fosche connotazioni di Orwell ma improntato a un\’ossessione solare, nel film che Matteo Garrone ha diretto con la memoria rivolta al cosmo di Eduardo. Da un antico palazzo/formicaio napoletano, sbuca il truffatore di mezza tacca Luciano, interpretato dal bravo Aniello Arena che è \’rinato\’ attore nel carcere di Volterra. Fa il salto glamour nel piccolo schermo che si riflette su un mondo succube degli attimi di gloria fugace. O di gloria inattesa e inevasa che costringe alla prigionia. Il regista di “Gomorra” scansa i generi, li mescola e sembra spostare il tiro: da episodi di criminalità, a puntate di intrattenimento. In realtà lo sguardo è il medesimo, con felice ritorno alle morbosità di “L\’imbalsamatore e “Primo amore”: attento alle avventure di un Pinocchio incapace di separare la sua persona dal proprio personaggio. Che è il dramma enunciato da Pirandello, ma – secondo Garrone – anche da Fabrizio Corona.
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