La vera storia di Leopold Socha, operaio ladruncolo nei bassifondi di Lvov, nella Polonia del 1943 occupata dai nazisti. Ha moglie e una figlia da mantenere, ma quando un amico ufficiale ucraino gli offre una forte ricompensa per snidare gli ebrei nascosti nelle fogne durante il rastrellamento del Ghetto, si mette d\’accordo con i fuggiaschi per salvarli. Ma eventi, edifici, coperture e finanze precipitano, Sacha si muove sul filo tra codardia e valori umani, salvaguardia personale e dissennato coraggio. Un filo oscuro, quello del titolo, che rimanda alla vita sottoterra e a quella della coscienza. Ma le pretese della regista Agniezska Holland (una promessa che fu) sono superiori alla resa e – a tratti – non all\’altezza della densità dell\’argomento affrontato.
Per fare epica ci vuol la lotta, per fare la lotta ci vuole il sangue, per fare il sangue ci vuole il popolo, per fare il popolo ci vuol la Storia, per far la Storia ci vuole Hugo. Per fare tutto ci vuole Hugo. Ma il vecchio gran scrittore a cottimo non può tutto. Per fare un musical ci vuol la storia (e per quella basta Hugo, ok), ma occorre anche gente che sappia cantare. Per fare cinema ci vogliono facce, per fare musical occorrono gole. E qui Russell Crowe e Hugh Jackman non si possono sentire. Si finisce col pensare che la scelta di Anne Hathaway – ottima anche nell\’ugola – sia solo un colpo di fortuna. Paradossalmente per fare cinema ci vuole un regista direttore d\’orchestra e per fare cinema da un musical occorre un regista di mero accompagnamento: il bravo Tom Hooper de “Il discorso del re” impone primi piani d\’arte spesso troppo aritmetica per essere sporca il giusto. Per fare un musical rivoluzionario ci vuole il kitsch. Per fare il kitsch attraverso la pomposità ci volevano davvero Hugo e l\’abuso degli ideali della bandiera francese? Non è problema di oggi, me lo chiedo da quasi 30 anni, da quando questo spettacolo modesto fa il giro del mondo contrapponendo un fuggiasco e un kattivo su sfondo di poveri cristi. Per fare ridere ci vogliono Sacha Baron Cohen ed Helena Bonham Carter; per far piangere (cantando Empty Chairs At Empty Table) ci vuole Eddie Redmayne; per fare cine-teatro presunto-venerabile basta assemblare ogni pezzo di stucco con guantata mano stucchevole. Per farci resistere fino alla fine ci vuole ben altro.
Un abile regista coreano (altrove maestro in tocco noir) si scatena al servizio bellico di Schwarzy, sceriffo di una placida cittadina di confine dopo una carriera chiusa male nella polizia di Los Angeles (anche Stallone ingrassò in un ruolo quasi analogo). L\’arrivo di un signore della droga, in fuga con un ostaggio a bordo e ondate di gangster e agenti al seguito, è la sua ultima occasione per riscattarsi. Inseguimenti ed esplosioni tra scuolabus, campi di grano e scene efficaci girate in notturna. Ma – da sempre – l\’effetto speciale meglio usato dall\’ex Governatore è l\’autoironia, qui usata a mitraglia, golosità compresa. Un esempio su tutti: al negoziante che, dopo un\’acrobazia con la cartucciera, gli chiede come si senta, il gigante buono e rugoso risponde:
Si gorgheggia amabilmente pettegoli nella casa di riposo per anziani musicisti dove Dustin Hoffman ha ambientato il suo primo film da regista seguendo la saggia regola di non immergersi tra gli interpreti. Giunge la notizia che una nuova celebre ospita raggiungerà la fiorita dimora: ed ecco Maggie Smith – tutta boria, sciarpina e bastone – che sembra giungere da “Downtown Abbey” per guardare dall\’alto in basso i vecchi orchestrali. Quello che la nuova inquilina ignora è che lì già soggiornano i tre componenti del quartetto che il suo ego e i suoi capricci misero a dura (ma esilarante) prova. Cast british da urlo: Albert Finney, Tom Courtney, Pauline Collins, Michael Gambon. Frizzanti scintille da spartito senile sempreverde.
Naomi Watts ed Ewan McGregor sono in Thailandia per festeggiare il Natale con i loro tre figli quando, la mattina del 26 dicembre, una devastante marea d\’acqua si abbatte sul loro hotel separandoli e sballottandoli tra flutti mortali. La storia è vera e racconta la disavventura di una delle tante famiglie straniere presenti nei luoghi dell\’Estremo Oriente colpiti dallo tsunami del 2004. Il coraggio di una donna contro la violenza della natura, la terribile quiete dopo la tempesta (attimo mozzafiato), la luce di stelle morte a illuminare la memoria dei superstiti. Ma troppe ondate di compiacimento estetico travolgono un\’opera che sembra preferire la bellezza alla bravura (e allo sgomento) del proprio cast. A Juan Antonio Bayona, che si porta dal capolavoro “The Orphanage” l\’incanto enigmatico di Gerladine Chapline, è un regista al quale perderemmo tutto. Ma qui ci lascia indecisi sulla battigia: sentiamo il fradicio onesto dei vestiti addosso, ma anche il voglioso bisogno del malefico ralenti
Evitare un disastro aereo e rischiare di essere condannati per omicidio colposo plurimo. E\’ quello che accade al comandante Denzel Washington, per la prima volta splendidamente quasi scorretto con occhio pesto e bocca impastata), a cui riesce meglio passare indenne tra le nubi del cielo che in quelle della vita: quando il suo aereo perde i pezzi tra le nuvole della Georgia lui riesce a portarlo a terra mantenendo il sangue freddo. Ma in quello stesso sangue vengono trovate tracce di vodka e cocaina, dal momento che il comandante la sera precedente al volo, come tutte quelle prima, ha alzato troppo il gomito. Poco importa dunque che sia riuscito a salvare 96 delle 102 persone a bordo: neanche il tempo di ritagliarsi il ruolo dell\’eroe che subito deve pensare a difendersi dalle accuse con l\’aiuto dell\’algido avvocato Don Cheadle. Ma la prospettiva dell\’ergastolo non è l\’unico problema di un uomo che annega tutti i suoi dubbi nell\’alcol credendo di farlo per scelta e non per dipendenza e arrivare sobrio all\’interrogatorio finale che potrà scagionarlo sembra impresa più ardua che pilotare un boeing. Zemeckis preferisce tenere al minimo i motori del legal thriller, che rimane comunque intrigante, per planare sull\’uomo e sul suo rapporto con la realtà e con il destino. Lo fa con il solito film rigoroso fatto di parole e inquadrature calibrate, che emoziona quando deve emozionare (tanto di cappello per la sequenza dell\’incidente aereo), ti sorprende quando non te lo aspetti e sa dosare ironia a perfette impennate di tono, senza perdere quota quando attraversa le insidiose turbolenze della riflessione esistenziale sulla quale plana con un atterraggio da applausi.
(Uedro)
Zemeckis sa il fatto suo, conosce i tempi, ha fiducia negli attori. Il suo film vale quel poco più di nulla che di solito si incontra in trame del genere. Per questo non applaudo all\’atterraggio: mi limito solo a sapere che di solito cadono peggio. Molto peggio, dai.
Il regista sudafricano Roger Michell (i più lo ricorderanno per \”Notting Hill\”) abbandona la città (Londra) e il continente (l\’Europa) per passare un paio di giorni nella bucolica campagna americana, che sembra uscita da un quadro di Hopper. E proprio la regia è molto presente (in certi momenti ostentatamente) nel primo dei due film raccontato da ”A Royal Weekend”: quello della storia d\’amore segreta tra l\’acchiappa-fantasmi Bill Murray (in questo caso acchiappa-amanti) che interpreta un Franklin Delano Roosevelt dalla risata all\’indietro facile e la cugina di quinto-o-sesto grado (
Una buona notizia che è il \’nostro\’ amabile sito è ora visibile (seppure dovendo muovere abilmente le ditina) anche da i-Phone e diavolerie analoghe, come da Voi tanto richiesto.
Una simpatica notizia è che il sottoscritto ormai al cinema ci va poco, in ritardo (e quasi sempre con la pistola puntata alla tempia); quindi da oggi spalanca le finestrelle delle recensioni agli spettatori che invece timbrano il famigerato cartellino a pellicole che io salto con l\’asta (il merito non c\’entra, c\’entra il mio bisogno di rivedere a vita gli Scary Movies, il tenente Colombo e il teatro dell\’assurdo). Chiaro che pubblicherò quelle più affini al mio pensiero (almeno mezz\’ora ma la ciuccio sempre, vi lascio indovinare come). Ognuno avrà il suo nome in bella vista e in ogni caso c\’è sempre spazio per tutti nei commenti subito susseguenti.
La cattiva notizia è che è da quando esiste questo sito (7anni7) – luogo che ora improvvisamente non è più amabilmente \’nostro\’, ma solo lo stracazzo di casa mia dove tutti siete ben accetti a patto di non criticarmi lampadari&tappeti – che mi sono giustappunto frantumato le palle con i rimproveri di scarsa ergonomia (ahaha, ma vaffanculo, come se i labirinti non fossero concepiti apposta come tali), fruibilità, tinteggiatura, difficoltà… fino ad arrivare all\’offerta di rifarmela ex novo ed in toto – la mia magione!! – come se mi fosse comparsa sullo schermo per uno scherzo del Mago Otelma. Chi si affatica nei corridoi, finisca come in “Shining”; chi trova gravosi i caratteri vi si avveleni come ne “Il nome della rosa”; chi si scontra con l\’ardua ultima cena (e derivati) si levi muto dalle palle senza che il gallo (ovvero egli stesso) canti e senza crocifiggere me che nell\’ostico barocco ci sguazzo come un batrace. Se si gracida insieme ben venga, se si dibatte/discute di contenuti anche, ma sia chiaro che boschetti e ninfee sono mie e me le gestisco io.
Una riverenza
Una buona notizia che è il \’nostro\’ amabile sito è ora visibile (seppure dovendo muovere abilmente le ditina) anche da i-Phone e diavolerie analoghe, come da Voi tanto richiesto.
Una simpatica notizia è che il sottoscritto ormai al cinema ci va poco, in ritardo (e quasi sempre con la pistola puntata alla tempia); quindi da oggi spalanca le finestrelle delle recensioni agli spettatori che invece timbrano il famigerato cartellino a pellicole che io salto con l\’asta (il merito non c\’entra, c\’entra il mio bisogno di rivedere a vita gli Scary Movies, il tenente Colombo e il teatro dell\’assurdo). Chiaro che pubblicherò quelle più affini al mio pensiero (almeno mezz\’ora ma la ciuccio sempre, vi lascio indovinare come). Ognuno avrà il suo nome in bella vista e in ogni caso c\’è sempre spazio per tutti nei commenti subito susseguenti.
La cattiva notizia è che è da quando esiste questo sito (7anni7) – luogo che ora improvvisamente non è più amabilmente \’nostro\’, ma solo lo stracazzo di casa mia dove tutti siete ben accetti a patto di non criticarmi lampadari&tappeti – che mi sono giustappunto frantumato le palle con i rimproveri di scarsa ergonomia (ahaha, ma vaffanculo, come se i labirinti non fossero concepiti apposta come tali), fruibilità, tinteggiatura, difficoltà… fino ad arrivare all\’offerta di rifarmela ex novo ed in toto – la mia magione!! – come se mi fosse comparsa sullo schermo per uno scherzo del Mago Otelma. Chi si affatica nei corridoi, finisca come in “Shining”; chi trova gravosi i caratteri vi si avveleni come ne “Il nome della rosa”; chi si scontra con l\’ardua ultima cena (e derivati) si levi muto dalle palle senza che il gallo (ovvero egli stesso) canti e senza crocifiggere me che nell\’ostico barocco ci sguazzo come un batrace. Se si gracida insieme ben venga, se si dibatte/discute di contenuti anche, ma sia chiaro che boschetti e ninfee sono mie e me le gestisco io.
Una riverenza
Una buona notizia che è il \’nostro\’ amabile sito è ora visibile (seppure dovendo muovere abilmente le ditina) anche da i-Phone e diavolerie analoghe, come da Voi tanto richiesto.
Una simpatica notizia è che il sottoscritto ormai al cinema ci va poco, in ritardo (e quasi sempre con la pistola puntata alla tempia); quindi da oggi spalanca le finestrelle delle recensioni agli spettatori che invece timbrano il famigerato cartellino a pellicole che io salto con l\’asta (il merito non c\’entra, c\’entra il mio bisogno di rivedere a vita gli Scary Movies, il tenente Colombo e il teatro dell\’assurdo). Chiaro che pubblicherò quelle più affini al mio pensiero (almeno mezz\’ora ma la ciuccio sempre, vi lascio indovinare come). Ognuno avrà il suo nome in bella vista e in ogni caso c\’è sempre spazio per tutti nei commenti subito susseguenti.
La cattiva notizia è che è da quando esiste questo sito (7anni7) – luogo che ora improvvisamente non è più amabilmente \’nostro\’, ma solo lo stracazzo di casa mia dove tutti siete ben accetti a patto di non criticarmi lampadari&tappeti – che mi sono giustappunto frantumato le palle con i rimproveri di scarsa ergonomia (ahaha, ma vaffanculo, come se i labirinti non fossero concepiti apposta come tali), fruibilità, tinteggiatura, difficoltà… fino ad arrivare all\’offerta di rifarmela ex novo ed in toto – la mia magione!! – come se mi fosse comparsa sullo schermo per uno scherzo del Mago Otelma. Chi si affatica nei corridoi, finisca come in “Shining”; chi trova gravosi i caratteri vi si avveleni come ne “Il nome della rosa”; chi si scontra con l\’ardua ultima cena (e derivati) si levi muto dalle palle senza che il gallo (ovvero egli stesso) canti e senza crocifiggere me che nell\’ostico barocco ci sguazzo come un batrace. Se si gracida insieme ben venga, se si dibatte/discute di contenuti anche, ma sia chiaro che boschetti e ninfee sono mie e me le gestisco io.
Una riverenza