Real Stories
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Ogni stroncatura non è che un atto di amore tradito
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MAGIC MIKE

Non è la versione maschile di “Striptease” con Demi Moore: corpi desiderabili che celano faticose avventure umane. Però ci prova tanto. Produce e interpreta il 32enne Channing Tatum, uno che sa cosa significa farsi strappare la camicia di dosso e poi fare il muratore; lavorare come modello ma sentirsi rifiutare il mutuo in banca. E\’ la star di un locale di provincia che sogna di fare il grande salto a Miami. Ha glutei e volontà di ferro. Fa da maestro a un giovane sbandato (l\’inglese Alex Pettyfer, timido e impasticcato il giusto), poi sceglie il nido offerto dalla sorella del pulcino divenuto pavone. In un film in bilico tra “Full Monty” e il musical, brillano i numeri di spogliarello. Matthew McConaughey – 10 anni più del protagonista, ma nulla da invidiare – è la vecchia volpe che sa di dover offrire una canzonaccia romantica alla platea di donne in delirio prima di restare in mutande. Assolutamente inutile la regia di Steven Soderbergh, che ancheggia attillata alla ricerca del punto G di spettatori ordinari di un film peggio che banale.

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COSA ASPETTARSI QUANDO SI ASPETTA

Nel 1984, il manuale di Hiedi Murkoff su come affrontare la gravidanza, venne letto negli States da oltre il 90% delle donne incinte. Il best seller diviene ora un film che intreccia storie di coppie in cui non è facile riconoscersi – nessuno fa un lavoro comune, tutti si sfogano come se il proprio pancione fosse la balconata da cui parlare di se stessi al mondo – ma offre in abbondanza i \’cliché da sorriso\’ tipici della commedia americana portata dalla cicogna. Gran parata di uomini al parco col passeggino (disastrosamente padri) e di star al femminile: Cameron Diaz è ormai la regina del divertimento sexy che non invecchia, Jeniifer Lopez per ora è soltanto sexy, Eizabeth Banks è la vera protagonista, Anna Kendrick un\’ottima comprimaria dalla verve sottovalutata. Le invettive contro i bebè in arrivo suonano più sincere delle carezze post-parto. Infatti durano pochissimo.

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E\’ STATO IL FIGLIO

Tutto come era lecito attendersi (compresa un televisore/simbolo che non funge) in quella discarica di mondo cara allo Sguardo (fotografia da urlo) di Daniele Ciprì, pur amputato dal sodale Maresco di “Cinico Tv” e “Lo zio di Brooklyn”. Non ho mai amato i suoi uomini e suoi cani randagi in un eterno sud post-atomico, ma credo questa volta il branco umano, le architetture/inquadrature (in)popolari e la \’puzza di ruggine negli occhi\’ siano pura arte. Il periodo sono gli anni \’70 ma non vi è un vero Tempo, la lingua è il siciliano ma si parla a sputacchi, ci si muove tra archeologia industriale e primitività domestica (la prima ha perso ogni anelito agli oggetti, la seconda vive di quello), la colonna sonora mescola tegami d\’autore alla Callas e a Nino D\’Angelo. Ci sono una bambina morta ammazzata, uno strozzino bifronte – che non ha l\’anima ritorta di quello di Sorrentino, ma solo un lustro ghigno capitalista – e una nonna che sembra di carta da zucchero finché si scopre saggia megera di carta vetrata (Aurora Quattrocchi). La mafia è un\’atmosfera presente e inutile da spiegare, come il tono grottesco che va bene per la spiaggia e l\’Apocalisse e la cinefilia dell\’autore che spunta come lava riconoscibile da un vulcano che fa da monocorde serbatoio illustre che (e)rutta miseria in scena e nobiltà nel cast: Toni Servillo, inzaccherato a dovere; la moglie acciuga Giselda Volodi, il figlio tonto Fabrizio Falco, premiato a Venezia. Iperrealtà capolavoro: l\’indigesto che oggi diviene comprensibile – e persino necessario – al gusto di chi gli ha sempre preferito una diversa percezione del mondo.

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BELLA ADDORMENTATA

Ispirato alla morte di Eluana Englaro, e all\’ultimo sussurro di papa Wojtyla (), Marco Bellocchio firma un\’opera sensibile (forse troppo composita) che narra di chi vuole che si muoia in pace, di chi non vuole che si muoia in pace, di chi deve morire con meno sofferenza possibile e di chi vuole morire ma forse no. Sullo sfondo: la tragica vicenda vissuta attraverso i media. In primo piano: un mosaico di umanità sacrale che fonde i respiratori artificiali alle lacrime di Isabelle Huppert; la crisi di coscienza del senatore Toni Servillo e i consigli terapeutici del collega Roberto Herlitzka (strepitoso) n una sauna da infimo impero a Palazzo Madama; gli slanci cattolici e i pruriti sessuali ai Alba Rohrwacher; i pruriti di vita e gli slanci di morte di Maya Sansa.

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COME NON DETTO

Mattia è gay e sta per raggiungere il fidanzato in Spagna. Nessuno sa di lui, tranne l\’amica del cuore. Né la madre che compatisce il gay pride in tv, né il padre allenatore di rugby che urla insulti omofobi per strada, né la sorella coatta con prole in crescita esponenziale. Invece è il suo ragazzo che, a sorpresa, lo raggiunge a Roma, convinto di trovare una famiglia gay friendly ad accoglierlo. Il bravo Josafat Vagni è così costretto a un complicato coming out. Non si temano tragedie, né ci si aspettino comunità diversamente umane alla Ozpetek. E\’ una commediola ordinata che non disturba nessuno e dà a Monica Guerritore l\’occasione per interpretare una moglie/madre doppiamente sconfitta.

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PIETA\’

Là dove una volta c\’erano l\’erba e i piccoli commerci, il Maestro sudcoreano Kim Ki-duk (almeno cinque capolavori e nessun buco nell\’acqua su 18 film) striscia con la macchina da presa come una serpe per imbastire un film sulla vendetta (il che sembra contraddire il titolo, e invece no) tra i grattacieli incombenti e lo strapotere del dio denaro che sentiamo invocare e maledire da ogni personaggio. Un giovanotto riscuote i debiti per conto di un boss: vita da topo di fogna in una fogna privilegiata: si masturba ed esce per storpiare coloro che non possono pagare, in modo di incassare attraverso l\’assicurazione. L\’incontro con una donna che si dichiara sua madre e gli chiede perdono per averlo a lungo abbandonato, prima lo indispettisce, ma presto lo rende schiavo del bisogno di affetto e attenzioni. Gli amanti del genere (vengeance movie d\’oriente) ricorderanno la fulminante domanda rivolta al prigioniero di “Oldboy” dal suo persecutore: . Qui il piano è meno diabolico, ma lucido, spietato e disperato (da cui il titolo). Kim KI-duk non aggiunge niente al suo Cinema: continua a farlo sfrigolare con storie di impossibile naturalezza in cui scattano puntuali le variabili dei sentimenti. Per dimostrare che i sentimenti non hanno variabili, ma solo leggi dolorose.

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ELLES

La giornalista parigina Anne ha un marito, due figli, una bella casa. Ascolta musica classica, si sente realizzata. Le prolungate interviste con due ragazze che si prostituiscono senza imbarazzi () ne intaccano le certezze. A lei sembra impossibile che le giovani non si sentano umiliate, ma presto inizia a chiedersi se non sia lei quella dominata da una vita in gabbia. L\’ennesimo film d\’oltralpe sui piccanti peccati delle studentesse? Tutt\’altro. Un viaggio nel disagio di una donna che si confronta infine con se stessa. Juliette Binoche da antologia: bravissima nel ruolo, splendida nell\’indossare i segni del tempo.

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THE BOURNE LEGACY

. Ecco, ora ce lo dicono pure, anzi se ne vantano. Con tanti saluti alla specificità delle trame e alla bravura degli attori. Qui il rimpiazzato è l\’ottimo Matt Damon: compare solo in foto dopo essersi tenuto acrobaticamente sulle spalle i primi tre capitoli tratti dalle gesta balistiche della macchina da guerra umana (ignara di se stessa) ideata da Robert Ludlum. Lo sceneggiatore della serie, ora regista, sceglie il ferreo Jeremy Renner come nuovo protagonista, gli affianca una disastrosa Rachel Weisz nei panni di una biologa coi sensi di colpa e – parole sue – espande lateralmente la saga. Sembra descriva nuove galassie, invece è il solito film d\’azione in vantata fotocopia.

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SISTER

Nel suo primo film (“Home”), la regista franco/svizzera Ursula Meier faceva precipitare nella follia la famiglia di Isabelle Huppert e Olivier Gourmet, incapaci di abbandonare la loro casa assediata da un cantiere autostradale. Qui l\’azione in apparenza allarga il respiro, ma mantiene una profonda inquietudine morbosa. Una giovane ragazza, molto sexy ma senza lavoro (Léa Seydoux, che la critica d\’oltralpe ha subito paragonato a Brigitte Bradot), vive in un resort di lusso con il fratellino che si arrangia rubacchiando ai ricchi clienti. Nuovi incontri, scontri attutiti e un colpo di scena. Opera studiata a tavolino, ma con la giusta intensità.

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DETACHMENT – IL DISTACCO

Adrien Brody, puntualmente emaciato, puntualmente straordinario, è un professore alle prese con una classe turbolenta e un\’esistenza tormentata. Ospita una baby prostituta in cerca di amore e redenzione. Filtra un raggio di sole, poi la trama rinserra le nubi. Toccante film spigoloso, ombroso, non facile, a sua volta bisognoso di attenzioni.

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